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Le pietre della vita

Strano archeologo, strano esploratore, Celiberti. Indifferente forse alla pur appassionante ricerca storica, e commosso invece, esaltato da quelle proporzioni, da quei colori, da quegli spessori della pietra, da quelle tastiere, da quei labirinti che tutti quei segni proponevano, con le loro duttili variazioni, con quella loro ansietà decorativa che aveva fatto vibrare un giorno il martello dell’artigiano o aveva sollecitato il gesto rituale del sacerdote, o di un capo, o di un condottiero. Forse, come nelle pagine di un libro quasi completamente illeggibile, in quelle cancellature, gli occhi curiosi dello scultore intravedevano battaglie, processioni, vesti dorate di principi o tormenti di schiavi, e rinasceva nella sua mente appassionata la scenografia di un dramma con gli infiniti sentimenti, con le infinite passioni, con gli odi di sempre e l’alternarsi di quelle paci che inevitabilmente succedono alle grandi sciagure. Talvolta le iscrizioni che la sua mente incontrava non erano così illeggibili bensì incise in tempi più recenti, contenevano i vocaboli ed i simboli di lingue a noi note. Ma nemmeno in questi casi era facile sfogliare le pagine del tempo. I problemi dell’uomo e della storia sono eterni, ma soltanto quelli del nostro presente ci appartengono, si impongono. Il nostro presente che è spesso fatto di piccole cose sfuggite agli editti dei sovrani, alle tavole della legge. Scritture cuneiformi, croci irlandesi, frammenti di iscrizioni greche o latine, lontane dal nostro essere quotidiano, eppure mai anonime, mai trascurabili. Non era, quella di Celiberti, nemmeno una soddisfazione filosofica, una meditazione sulle sorti dell’uomo, sulle metamorfosi della natura. Era una simbiosi, una partecipazione alla sostanza dell’universo, la cui teofania, la cui apparizione, il cui essere, propone, al di sopra delle vicende della materia, una ricerca di dire e di capire.

(in Giorgio Celiberti. Trasmigrazioni, catalogo della mostra, Museo MGC Klovićevi Dvori, Zagabria, 1998)

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